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 Il mio boss: il gatto - Paul Gallico

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Giovanni
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MessaggioTitolo: Il mio boss: il gatto - Paul Gallico   Il mio boss: il gatto - Paul Gallico Icon_minitime8/11/2008, 17:44

Il mio boss: il gatto
Paul Gallico


Se state pensando di prendervi un gatto e desiderate farvi un’idea di come sarà la vostra vita accanto a un Felis domesticus, avete trovato la persona giusta a cui rivolgervi. Ho calcolato che, fino ad oggi, ho lavorato, e sottolineo lavorato, per trentanove di questi felini, per non parlare del periodo in cui ero contemporaneamente a servizio di un gruppo eterogeneo di ventitré gatti del quartiere.
I gatti sono, ovviamente, dei poco di buono. Sono imbroglioni e accattoni, bari e adulatori spudorati. Hanno un’infinità di programmi, piani e contropiani, stratagemmi e trucchi, proprio come i truffatori. Sanno capire la tua personalità meglio di uno psichiatra da cinquanta dollari l’ora e quanta benzina gettare sul fuoco per riuscire a piegarvi. Sono nettamente più intelligenti di me, e questa è una delle ragioni per cui li amo.
Chi li detesta cercherà di tapparvi la bocca con la vecchia obiezione: «Se i gatti sono tanto intelligenti, perché non si comportano come i cani?». Non è che non sappiano farlo: non vogliono farlo. Sono troppo astuti per reggersi sulle zampe posteriori e mendicare un po’ di cibo: sanno in anticipo che lo riceveranno ugualmente. E l’abitudine di rotolarsi sulla schiena, di fingersi morti e di «parlare», non fa forse già parte della natura felina?
I gatti rappresentano, inoltre, una buona preparazione al matrimonio, dato che vi insegnano a stare al vostro posto. La prima cosa che fa Kitty, infatti, è organizzare casa vostra in maniera adeguata. Alle sue esigenze, naturalmente. Mangia quando vuole, esce a suo piacimento, rientrando se e quando decide di farlo.
Richiede la vostra attenzione quando la ritiene opportuna e vi fa capire chiaramente che vuole essere lasciata in pace quando ha altro per la testa. É gelosa: vi impedirà di accarezzare altre rappresentanti del suo sesso, bipedi o quadrupedi che siano, e di dimostrare loro le vostre premure.
Si altera se tornate tardi la sera o se vi assentate per ragioni di lavoro.
Ma quando lei decide di stare fuori due notti di fila, non è affar vostro sapere dove sia stata o che cosa abbia combinato. O vi fidate di lei o non vi fidate.
Detesta la sporcizia, i cattivi odori, il cibo scadente, i rumori forti e le persone che invitate inaspettatamente a cena.
Kitty ha, inoltre, la sua dose di ostinazione infantile. Si diverte a vedervi agitati, affannati, paonazzi in volto e fuori di voi. Talora, mentre si sofferma a osservarvi, avete la sensazione che faccia di tutto per non scoppiare a ridervi in faccia. E ha la perfida abilità di darvi la responsabilità di tutto ciò che accade.
Kitty, ad esempio, finge di non essere in grado di parlarvi né di capirvi, presentandosi come un animale stupido. Che farsa incredibile! Qualsiasi canaglia a quattro zampe che si rispetti sa farvi capire esattamente quello che vuole in un determinato momento.
Ha un verso che significa «Mangiamo!», uno per comunicarvi che vuole uscire, uno per chiedervi «Non hai visto per caso il mio topo di gomma, quello con la coda rosicchiata?» e una serie di altre inequivocabili modalità espressive. E riesce anche a capirvi perfettamente, se ritiene di trarne vantaggio.
Uno dei miei gatti credo sapesse persino leggere. Era un maschio di nome Morris, un grosso micio tigrato dagli occhi color topazio, che viveva con me in un appartamento a New York, quand’ero scapolo. Un giorno avevo da poco terminato di scrivere una lettera alla ragazza che, a quel tempo, era l’oggetto delle mie attenzioni. Ovviamente, per farglielo capire, avevo fatto ampio ricorso alla mia arte di scrittore. Mi assentai qualche minuto per rispondere al telefono e, quando ritornai, trovai Morris seduto sulla scrivania, intento a leggere la lettera. O, quanto meno, a fissarla con aria vagamente infastidita. Mi lanciò una di quelle lunghe occhiate pregne di sconcerto, tipiche dei gatti, e subito dopo miagolò per uscire. Non rientrò che tre giorni dopo. Da quel momento in poi tenni la mia corrispondenza privata sotto chiave.
Questo episodio mi ricorda un’altra gatta dotata di grande perspicacia di nome Tante Hedwig, che tenevo alla fattoria. Una domenica un ospite mi chiese se potessi preparare un cocktail chiamato Mexican. Risposi che probabilmente vi sarei riuscito e iniziai a mescolare gin, succo di ananas, vermouth, bitter e altri ingredienti male assortiti. Versandone un bicchiere di assaggio, ne rovesciai un po’ sull’erba. Tante Hedwig accorse prontamente, annusò e, con un’aria vergognosa e imbarazzata, vi ci si sedette sopra. Concludemmo tutti che, in quel luogo, aveva qualcosa che intendeva proteggere.
Lasciate che vi ricordi di non dare molto credito alla teoria secondo cui gli animali non pensano e agiscono solo per istinto. Avete mai provato a tenere fuori di casa un gatto che vuole entrarvi, o viceversa? Una volta chiusi un gatto in cantina. Ebbene, si arrampicò sul muro liscio di cemento con gli artigli (ne notai in seguito i segni), aprì la finestra spingendo con il naso la maniglia e balzò fuori.
Il gatto ha una memoria straordinaria e anche, a mio avviso, la facoltà di soppesare e valutare ciò che ricorda. Prendete, ad esempio, i nostri due Blue Russian, Chin e Chilla. Mia moglie li ha nutriti con un contagocce, dando loro affetto, cure e una bella fattoria nel New Jersey come casa.
Quando dovemmo recarci all’estero, Chin e Chilla vennero portati da alcuni amici a Glenview, nell’Illinois, una cittadina molto chic. Tornati negli Stati Uniti, decidemmo di trascorrere in tale luogo il Giorno del Ringraziamento anche perché, fra le altre cose, non vedevamo l’ora di riprenderci i nostri gatti. Quando arrivammo, Chin e Chilla erano acquattati in cima a un’ampia rampa di scale. Li salutammo dolcemente e subito scorgemmo un’espressione di orrore sui loro musi: «Cielo! Sono quei due pezzenti! Corri!».
I due si dileguarono e non si fecero trovare per cinque ore. Erano terrorizzati all’idea che li riportassimo in una squallida fattoria del New Jersey, in cui non avrebbero avuto una stanza propria, una veranda inondata di sole, una cassettina coperta per i loro bisogni e altri lussi del genere.
Dopo un bel po’ si fecero vedere, seppur con riluttanza, e acconsentirono a giocare ai vecchi giochi e a parlare dei vecchi tempi, ma con estrema circospezione. Quando giunse l’ora di partire, scomparvero di nuovo. La nostra amica ci scrisse in seguito che, evidentemente, si erano impossessati di un orario ferroviario poiché, prima di fare nuovamente capolino, avevano aspettato che il nostro treno superasse Elkhart.
Fu lo stesso Chilla a condurci un giorno, quando vivevamo alla fattoria, da Wuzzy, il nostro gattone fulvo, che mancava da casa da quarantotto ore: si trovava a quasi ottocento metri di distanza, in un luogo dove non potevamo vederlo né sentirlo, preso in una trappola. Durante il cammino Chilla si voltava di tanto in tanto, per vedere se lo seguissimo. Il vecchio Wuz era mezzo morto quando lo trovammo ma, vedendo Chilla, iniziò a fare le fusa.
Vivendo con un gatto, potreste dover affrontare il problema della sua doppia vita. Ciò significa, in poche parole, che Kitty è in grado di avere due case, situate a una distanza tale che ognuno dei proprietari è convinto che lei gli appartenga.
Feci questa scoperta quando decisi di indagare sulle inspiegabili assenze di Lulu II la mia siamese Seal Point. Alla fine riuscii a rintracciarla dall’altra parte della baia, mentre era intenta ad adescare un’amabile zitella. Quando esclamai: «Spero che la mia Lulu non l’abbia infastidita», lei ribatté indignata: «La sua Lulu! Intende dire la nostra piccola cara Pitipoo! Ci chiedevamo dove andasse quando, di tanto in tanto, scompariva. Ci auguriamo che non le abbia arrecato disturbo».
L’aspetto più sconvolgente della storia era però che Lulu, che aveva un pedigree lungo un metro, era disposta a farsi chiamare Pitipoo!
Di tutte le azioni che un gatto intelligente può compiere per mettervi in riga, il dono di un topo catturato è la più furba e la più toccante. Alla fattoria viveva Limpy, una gatta randagia che si procurava da sé il cibo. Avevamo già quattro gatti ma, in inverno, quando ci trasferimmo in città, la portammo ugualmente con noi.
Non avevamo messo piede nell’appartamento nemmeno da dieci minuti che Limpy aveva già catturato un topo o, più probabilmente l’unico topo, e lo aveva già deposto ai nostri piedi. Per lei un topo morto era un bel colpo, una pacchia, una gran festa. Eppure, lo aveva regalato a noi.
Come considerare tale atto, un modo per ripagarvi dell’ospitalità, una forma di ringraziamento o un gesto che significa «Ecco qui, guarda: è la cosa più importante che so fare. Prendila, perché tu mi piaci?».
Potete insegnare a un cane a recuperare la selvaggina, ma solo un gatto vi porterà spontaneamente la sua preda, offrendovela in dono.
Ma com’è che Kitty non si comporta da predatrice qual è e sembra invece un essere umano bene educato? Non so proprio rispondere a tale domanda. Il punto è, tuttavia, che lo fa e vi rende per sempre suoi schiavi. Dopo che vi avrà fatto omaggio di un topo, non sarete più gli stessi: avrà il potere di trattarvi come uno zerbino.
E, sicuramente, lo farà.
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